domenica 7 ottobre 2007

Che fine ha fatto l’elefante?

Che fine ha fatto l’elefante,
quello a cui Shiva rubò la testa
per riportare suo figlio Ganesh
in vita?

E’ la curiosità di un bambino
l’immaginazione indiscreta che continua
a indagare, che cerca un modo
per dar credito alla fantasia
un modo per prolungare la storia.

Se Ganesh poteva ancora essere Ganesh
con una testa di elefante
non potrebbe anche il corpo
dell’elefante
trovare un’altra vita,
magari con la testa di un cavallo?

E se trovassimo
la testa di un cavallo per riportare in vita
il corpo dell’elefante –
Chi sarebbe il vero elefante?
E che ne faremmo
del corpo del cavallo?

Tuttavia, il bambino rifiuta
di accettare la negligenza di Shiva
e cerca una soluzione
che non contempla la morte.
***
Ma ora quando osservo
la cartolina di Ganesh
incorniciata sul muro,
immagino anche la carcassa putrescente
di un elefante decapitato
che giace accartocciato
sul fianco, ricoperto di merda di uccelli,
merda di avvoltoi –

Oh, quell’elefante
la cui testa sopravvisse
per Ganesh –

E’ morto, certo, ma gli altri
del suo branco, centinaia
di suoi fratelli, l’avranno trovato.
Saranno rimasti a guardarlo per ore
con lenta e oscillante tristezza…
Quanto tempo avranno girato e rigirato
in tondo, con le proboscidi
rivolte ora da un lato, ora dall’altro,
verso l’elefante senza testa.

Una danza, questa,
una danza di gruppo
di cui nessuno parla.

Sujata Bhatt, Il colore della solitudine, Donzelli 2005.
A cura di Paola Splendore.
*